Terrorismo e dark fleet, il traffico nel golfo di Aden ed i rischi per l’ambente marino
01/08/2025
Rubrica a cura dello Studio Legale Mordiglia, Genova-Milano - www.mordiglia.it - mail@mordiglia.it
Se fino a poco tempo fa la principale
minaccia alla navigazione commerciale elle acque tra il Mar Rosso e l’Oceano
Indiano era rappresentata dalla pirateria, oggi la sicurezza marittima è messa
a dura prova da attacchi armati diretti, mirati e sempre più frequenti, spesso
riconducibili a logiche di conflitto asimmetrico e terrorismo internazionale.
L’aggravarsi delle tensioni nel Medio
Oriente ha già è già risultato in attacchi a navi battenti bandiera di Paesi
terzi, prive di legami diretti con i conflitti in corso.
L’attacco alla Eternit C, nave
cisterna battente bandiera delle Isole Marshall i cui marittimi risultano
tuttora essere in ostaggio degli Houti, ha evidenziato quanto sia labile il
confine tra target politico e danno collaterale nel teatro del golfo di Aden.
Pochi giorni dopo, un missile ha
colpito anche la Magic Sea, bulk carrier greca in navigazione verso
l’India, causando un incendio e danni ingenti alla stiva. Episodi come questi
hanno ampliato la percezione di rischio, coinvolgendo armatori, charterer ed
assicuratori.
Questi eventi hanno stimolato una
risposta coordinata da parte degli Stati e delle organizzazioni internazionali.
L’IMO ha sottolineato la necessità di aggiornare tempestivamente i piani di
sicurezza ISPS e di attivare meccanismi di valutazione del rischio dinamici e
costanti, coerenti con la rapida evoluzione degli scenari di minaccia.
Contestualmente, la coalizione navale
a guida statunitense ha intensificato le attività di sorveglianza e
pattugliamento armato nella zona, mentre la Grecia ha dispiegato nel Golfo di
Aden anche un rimorchiatore d'altura – il Giant – con funzioni di supporto
e assistenza alle navi in difficoltà.
Il peggiore degli scenari, tuttavia,
riguarda la possibilità concreta che futuri attacchi terroristici colpiscano
unità impiegate dalla cosiddetta shadow fleet, impiegata per eludere le
sanzioni internazionali sul trasporto di petrolio russo, iraniano o venezuelano.
Nella quasi totalità dei casi, le
navi che operano nell’ambito della shadow fleet non risultano assicurate
presso club P&I appartenenti all’International Group, né dispongono di una
copertura Hull & Machinery conforme agli standard internazionali.
Si tratta di una scelta spesso
volontaria volta ad eluder i controlli ed il sistema di responsabilità imposte
dal diritto internazionale, ma che comporta rischi sistemici per l’ambiente e
la sicurezza collettiva.
Il caso della petroliera colpita nel
febbraio 2024, mentre trasportava greggio russo verso l’Asia, pur non avendo
provocato sversamenti, rappresenta un campanello d’allarme evidente.
In assenza di efficaci e tempestive
misure di contenimento, coordinate normalmente dall’armatore e dal suo
assicuratore sotto la supervisione degli stati coinvolti, lo Stato costiero
interessato resterebbe verosimilmente l’unico soggetto interessato alla limitazione
dei danni derivanti dal sinistro, supportandone anche i costi economici non
sempre recuperabili.
Un ulteriore aspetto di assoluta
rilevanza è rappresentato dal fatto che, senza una copertura assicurativa
prestata da un ente qualificato e solvibile, soggetti terzi coinvolti nel
salvataggio – come rimorchiatori, aziende antinquinamento o salvors
specializzati – potrebbero esitare a prestare assistenza in quanto scoraggiati
dall’assenza di un assicuratore qualificato e di sicura solvibilità.
La carenza assicurativa ha inoltre
effetti diretti sulla possibilità di accedere al sistema di risarcimento
dell’IOPC Fund, che interviene solo in presenza di navi coperte da
assicurazioni conformi alla CLC e battenti bandiera (o scaricanti carico) in
uno Stato parte della Convenzione.
Le navi della shadow fleet,
registrate spesso in Stati non aderenti o in regimi di flag hopping, risultano
quindi strutturalmente escluse da tale sistema multilaterale di protezione ed in
caso di disastro ambientale è probabile che nessun fondo internazionale intervenga.
Lo scenario peggiore porta, dunque, a
immaginare una situazione in cui, a seguito di uno sversamento massiccio di
idrocarburi provocato da un attacco terroristico, non vi sia, ad esclusione
dell’armatore probabilmente sprovvisto dei fondi necessari, alcun soggetto
responsabile, assicurato o solvibile che possa farsi carico dei costi.
Nella speranza che la recente
instabilità geopolitica trovi una soluzione diplomatica, è legittimo chiedersi
se gli interventi degli organismi internazionali volti a garantire la sicurezza
fisica delle rotte siano sufficienti o se sia necessaria l’adozione misure più
drastiche volte a prevenire la navigazione di navi sfornite di adeguate coperture
assicurative nelle zone considerate ad alto rischio.