Possibile chiusura dello Stretto di Hormuz: scelte commerciali e tutele contrattuali
29/09/2025
Rubrica a cura dello Studio Legale Siccardi Bregante & C. - www.siccardibregante.it - studio@siccardibregante.it
La già complicata situazione
del Golfo Persico ha subito un ulteriore (negativo) impulso a metà giugno 2025,
quando, a seguito dello scoppio delle più recenti ostilità tra Israele e Iran,
quest’ultimo ha (nuovamente) minacciato la chiusura dello Stretto di Hormuz.
Già da tempo molti armatori hanno scelto di evitare il Mar Rosso e il Golfo
Persico, optando per rotte più onerose, ma senz’altro più sicure, ma resta il
fatto che circa un quinto delle spedizioni mondiali di petrolio transita proprio
attraverso lo Stretto di Hormuz (che, nel 2025, ha visto il passaggio di circa
il 34% di tutto il petrolio commerciato via mare). Data la sua posizione
strategica, non deve sorprendere che il traffico, allo stato attuale delle
cose, continui a scorrere attraverso lo Stretto, ma la sua cruciale importanza
è anche il motivo per cui la minacciata chiusura avrebbe ingenti ripercussioni,
anche legali, per il settore del trasporto marittimo. Quali sono - dunque - i
meccanismi legali invocabili dalle compagnie vettrici per tutelarsi da
evenienze come quella descritta?
Uno dei primi aspetti da
prendere in considerazione è che la maggior parte dei vettori internazionali, inserisce
all’interno dei propri termini e condizioni contrattuali, clausole di forza
maggiore, che possono attribuire al vettore la facoltà di sospendere
l’esecuzione del servizio o di modificarne l’itinerario al ricorrere di
specifiche circostanze. Il concetto di forza maggiore è più volte richiamato
dal diritto italiano in riferimento al trasporto marittimo, sia di persone che
di cose: si pensi, ad esempio, all’art. 405 cod. nav. che, in riferimento al
trasporto di merci, prevede che, in caso di interruzione del viaggio per cause
di forza maggiore, il prezzo del trasporto sia dovuto in proporzione al tratto
utilmente percorso. Al contrario, i sistemi di common law, in
virtù della maggiore autonomia contrattuale conferita alle parti (che consente
di modulare i rispettivi obblighi rendendoli più o meno stringenti), non
riconoscono il concetto di forza maggiore in via generale e, come tale,
invocabile dalle parti di qualunque contratto, a prescindere dal contenuto di
questo (è invece indispensabile che le parti lo abbiano previsto in apposite e
clausole fra di loro negoziate e concordate). L’effettiva possibilità per i
vettori di invocare legittimamente tali clausole a fronte di un’eventuale
chiusura dello Stretto di Hormuz dipenderà, quindi, dal tenore letterale e
dalla portata della disposizione contrattuale di riferimento, nonché dalla
legge regolatrice del contratto e dalla giurisdizione competente, considerato
che gli orientamenti e le interpretazioni delle clausole di forza maggiore
variano sensibilmente da un ordinamento all’altro.
Strettamente collegato è
l’istituto della deviation, data la possibilità che le ostilità
di cui si discute costringano i vettori a modificare, anche a viaggio in corso,
la rotta contrattualmente stabilita, causando ritardi nelle consegne o
addirittura danni alle merci. Le Regole dell’Aja-Visby, costantemente
richiamate dalle polizze di carico (anche italiane) come legge applicabile,
all’art. IV, par. 4, stabiliscono che qualsiasi deviazione effettuata per
salvare o tentare di salvare (vite umane o) beni in mare non possa essere
considerata una violazione delle Regole stesse o una forma di inadempimento
rispetto al contratto di trasporto e che il vettore non possa essere
considerato responsabile per eventuali perdite o danni che derivino da tale
deviazione. In pratica, anche in assenza di esplicita previsione contrattuale,
l'armatore/vettore può esercitare il diritto di modificare la rotta, se ciò è necessario
per evitare pericoli alla nave e alle merci trasportate. La deviazione,
tuttavia, per espressa previsione dello stesso art. IV par. 4, deve essere reasonable.
Anche se, nel caso di eventi
bellici, sembra facilmente configurabile un’ipotesi di reasonable deviation tale
da escludere la responsabilità del vettore, quest’ultimo dovrà comunque
dimostrare che la modifica era necessaria per garantire la sicurezza della
nave e/o del carico: la ragionevolezza verrà valutata sulla base di diversi
elementi, quali l’entità del carico o la stessa bandiera battuta (va da sé che
navi di determinate nazionalità o trasportanti particolari merci saranno più
facilmente soggette ad attacchi esterni). Diversa è, invece, l’ipotesi in cui
la deviazione sia effettuata al fine di perseguire interessi commerciali del
vettore: in tali evenienze la condotta deve essere sottoposta a un vaglio
particolarmente rigoroso e la relativa responsabilità potrà essere esclusa
soltanto in presenza elementi idonei a giustificarla in modo inequivoco sotto
il profilo della meritevolezza e della ragionevolezza. Nel diritto italiano,
non esistendo una norma dedicata in maniera specifica alla deviazione dalla
rotta prestabilita, quest’ultima potrebbe essere ricondotta alla responsabilità
del vettore di cui all’art. 422 cod. nav.: la disposizione stabilisce che,
qualora da “atti o tentativi di assistenza o salvataggio ovvero deviazione
del viaggio fatta a tale scopo” derivi un danno alla merce trasportata,
ricade sull’avente diritto alla riconsegna l’onere di dimostrare che il danno
sia riconducibile alla colpa del vettore o dei suoi dipendenti e preposti. Il
principio sottostante alla regola in commento è quello generale della
responsabilità ex art. 1218 c.c. per mancata (esatta) esecuzione della
prestazione dovuta: ovviamente, anche secondo le regole di diritto comune, è
possibile per il debitore dimostrare che il ritardo sia stato determinato da
cause a lui non imputabili (come potrebbero essere quelle analizzate nel
paragrafo).
Ancora più nello specifico,
i contratti di noleggio normalmente includono clausole espressamente dedicate
ai war risks che consentono la risoluzione del contratto qualora
si verifichi lo scoppio di un conflitto armato o di una situazione assimilabile
allo stato di guerra. Le clausole standard di settore maggiormente utilizzate
sono le clausole BIMCO CONWARTIME (per i time charter parties) e VOYWAR (per i voyage charter parties), recentemente riviste proprio per far fronte
ai mutamenti del settore del commercio marittimo. La clausola CONWARTIME, ad
esempio, che si applica per l’intera durata del contratto di noleggio (a
differenza della VOYMAR, che si basa sul periodo di carico e sull’inizio del
viaggio), consente all'armatore la facoltà di disattendere in qualsiasi momento
gli ordini relativi all’ingresso o alla sosta in aree classificate ad alto
rischio (si veda la lettera b. della clausola: “The Vessel shall not be
obliged or required to proceed to or through, and shall have liberty to leave
an Area where it appears that the Vessel, cargo, crew or other persons on board
the Vessel, in the reasonable judgement of the Master or the Owners, may be
exposed to War Risks…”). Tali disposizioni, pur accomunate dall’obiettivo
di disciplinare i rischi di guerra, divergono in termini di ambito applicativo
ed efficacia e richiedono quindi un’attenta analisi al fine di individuare
l’estensione delle facoltà attribuite all’armatore.
Il generale clima di
ostilità, unitamente alla minaccia iraniana di bloccare il traffico attraverso
lo Stretto di Hormuz, determinerebbe quindi rilevanti implicazioni di natura
giuridica, commerciale e operativa per vettori, noleggiatori e operatori del
trasporto marittimo, che sarebbero probabilmente costretti ad invocare le
garanzie sopra descritte. Data la rapidità con cui gli scenari di questo tipo
possono cambiare, ai soggetti potenzialmente esposti a tali rischi non resta
che monitorare con attenzione l’evoluzione della situazione e procedere a
un’accurata revisione dei propri contratti, al fine di calibrare al meglio
l’estensione dei rispettivi diritti ed obblighi in tale contesto.