Perché un importatore può subire sanzioni milionarie se manca la compliance richiesta dalle norme UE
Rubrica a cura dello Studio Legale Mordiglia, Genova-Milano - www.mordiglia.it - mail@mordiglia.it
Gli operatori
economici possono incorrere in sanzioni assai gravose per la mancanza dei
requisiti di compliance richiesti dalle normative unionali (es. RAEE,
PILE, EMC, RoHs, LVD, ecc.) già al momento della presentazione della
dichiarazione doganale di importazione.
La
giurisprudenza di merito, chiamata a confermare o annullare tali sanzioni, si
sta interrogando sulla nozione di “immissione sul mercato”, contenuta nelle
direttive armonizzate e nei regolamenti unionali di compliance, dubitando
se farla coincidere con la fase di importazione dei prodotti esteri.
In tale momento, infatti, vengono controllati dalla Autorità preposte, oggi le autorità doganali, i vari adempimenti richiesti dalle normative, tra cui, a titolo di esempio, la necessaria esposizione sulle pile del simbolo dello smaltimento differenziato (il “bidoncino barrato” richiesto dal D. Lgs. 188/2008 e punito dall’art. 25 primo comma del medesimo decreto con una sanzione da euro 50 ad euro 1000 per ciascuna pila o accumulatore immesso sul mercato).
Tale
marcatura deve essere apposta dal fabbricante, dal suo rappresentante
autorizzato in Italia o dal responsabile dell'immissione sul mercato nazionale
(art. 23 d.lgs. 188/2008). Generalmente l’importatore ricopre tale ultimo
ruolo, ossia è il responsabile dell'immissione sul mercato.
Diventa,
quindi, fondamentale comprendere come intendere l’immissione sul mercato, se
assimilarla o meno alle nozioni di immissione in consumo o immissione in libera
pratica, tratte dal diritto doganale.
Invero, le normative unionali di compliance definiscono l’immissione sul mercato come coincidente con la prima messa a disposizione del prodotto, ossia con “la fornitura di un prodotto per la distribuzione, il consumo o l'uso sul mercato comunitario nel corso di un'attività commerciale, a titolo oneroso o gratuito” (Decisione 768/2008/CE).
Per interpretare tali concetti, trasposti poi nei decreti attuativi nazionali, è utile fare ricorso agli atti della Commissione e in particolare alla Comunicazione 2022/C247/01, nota come “Guida Blu all'attuazione della normativa UE sui prodotti”. In tale documento l’immissione sul mercato si ritiene realizzata “quando un fabbricante o un importatore fornisce un prodotto ad un distributore o ad un utilizzatore finale per la prima volta”.
Il decreto concernente pile, accumulatori e relativi rifiuti consente ad esempio che l'applicazione della simbologia in questione avvenga “a cura del responsabile dell'immissione sul mercato nazionale” e poiché quest'ultima consiste nella “fornitura al consumo”, sembrerebbe logico giungere alla conclusione che tale soggetto possa adempiere all’obbligo imposto in un momento successivo a quello dell'importazione, quando appunto, ricevuto il prodotto, lo fornisce “a un distributore o a un utilizzatore finale”.
Diversamente, ritenere che l'immissione sul mercato avvenga già alla presentazione della dichiarazione di importazione renderebbe l’importatore responsabile di un adempimento devoluto al suo fornitore estero; si addosserebbe all’importatore un onere di controllo potenzialmente tramutabile in una responsabilità oggettiva per eventuali omissioni o errori commessi da terzi.
Tutti i regolamenti di nuova generazione relativi a certificazioni CE, EMC, LVD, RoHs, RAEE, ecc. hanno smesso di equiparare l’immissione sul mercato dei prodotti alla loro importazione, tuttavia, perseguendo un obiettivo di tutela dei consumatori, le dogane continuano a svolgere i controlli, e le autorità nazionali preposte continuano a irrogare sanzioni, nella fase dell’importazione. Gli importi addebitati, tuttavia, sono talvolta così onerosi da punire in maniera del tutto sproporzionata operatori che di fatto non avrebbero potuto prevenire o evitare tali violazioni neppure con la massima diligenza.
Una ragionevole soluzione, che contemperi le opposte esigenze di tutela del mercato e di conservazione del principio di colpevolezza è rappresentata dalla necessaria distinzione che le autorità preposte dovrebbero operare, caso per caso, tra gli acquisti dall’estero online da parte di consumatori e le importazioni svolte nell’ambito di una attività professionale: solo nel primo caso, infatti, il prodotto importato è lecito sia fornito di tutti i requisiti di sicurezza e compliance richiesti dalle varie normative unionali, perché il privato deve poter utilizzare in sicurezza il bene tale e quale; al contrario, invece, nel caso di un acquisto “professionale”, è altrettanto equo permettere all’operatore di svolgere i controlli e le necessarie lavorazioni sul prodotto importato, conformandolo eventualmente alle esigenze del mercato nazionale di riferimento, quando cioè lo stesso possa acquisire l’effettiva disponibilità della merce e divenirne responsabile della distribuzione sul mercato.
In attesa di una riduzione a equità delle sanzioni previste “al pezzo” per una maggiore coerenza dell’effetto punitivo con l’effettivo disvalore delle violazioni contestate, gli operatori confidano nella ragionevolezza dei giudici.