Danni da ritardo: rivalsa nei confronti della Dogana

27/05/2021

Danni da ritardo: rivalsa nei confronti della Dogana Merita attenzione una recente pronuncia del Consiglio di Stato in tema di controlli doganali. Nonostante sia stata respinta, nel merito, la richiesta di risarcimento danni avanzata da un operatore commerciale per il ritardo nello svolgimento dei controlli doganali, la decisione del 2 aprile 2021 n. 2737 delinea alcuni principi decisamente rilevanti nella valutazione della responsabilità dell’Amministrazione per fatto illecito.
La sentenza, infatti, affronta proprio il tema dell’illecito aquiliano commesso dalla Dogana nell’adempimento dei controlli sanitari, nella specie su alimenti destinati a Dubai.
La vicenda vede come protagonista l’Agenzia delle Dogane di Reggio Calabria che, preposta ai controlli della merce in importazione, decide di estrarre campioni della stessa e inviarli in analisi al Laboratorio di competenza; il test report viene notificato all’operatore dopo 40 giorni dall’inizio della verifica. Nel frattempo, le spese di sosta del container, detratto un periodo di franchigia, cominciano a lievitare cosicchè l’operatore decide di agire in rivalsa verso l’Amministrazione per i danni economici sostenuti.
Come noto, infatti, i costi delle soste che il Terminal addebita all’operatore commerciale per l’occupazione del suolo, rimangono a carico della merce, salvo che non intervenga un sequestro penale.
Nel caso di specie, il TAR di Reggio Calabria aveva accolto in primo grado la richiesta danni dell’operatore, ravvisando in capo all’Amministrazione una colpa  grave nell’essere venuta meno all’obbligo di eseguire le analisi dei campioni delle merci entro il termine previsto dal comma 2 bis dell’art. 5, Decreto legge 145 del 2013, convertito con modifiche nella Legge n. 9 del 2014.
Tale disposizione prevede, infatti, che i controlli debbano concludersi in poche ore o al massimo in tre giorni, qualora richiedano accertamenti di particolare complessità.
 Il Consiglio di Stato, ribalta la decisione e inquadra la normativa nazionale richiamata dall’operatore nel più ampio contesto di regole doganali comunitarie.
L’avvicendamento del Codice doganale Unionale (Reg. 952 del 2013, CDU) al “vecchio” codice doganale comunitario (Reg. 2913 del 1992, CDC), non ha alterato l’impianto della disciplina dei controlli, che rimane affidata a principi generali,  o meglio, come riferisce il Consiglio “poggiava e poggia su una clausola generale aperta ispirata a criteri di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza del tempo necessari ad effettuare un controllo”.
Sia le attuali normative (art. 188, 189 nonché 194 del Reg. 2913/1992, CDU), che le decadute regole del codice doganale comunitario (artt. 68 e 73 del CDC), ribadiscono che nell’ambito dei tre controlli doganali possibili (documentale, fisico e scanner) le Autorità possono prelevare campioni per un accertamento più approfondito e le spese delle analisi restano a carico del proprietario delle merci, il quale ha diritto ad assistere al campionamento e alla visita, ma non può richiedere alcun risarcimento per eventuali danni recati alla merce durante il prelievo di campioni. Secondo le norme sovranazionali, le autorità doganali devono procedere allo svincolo, non appena le indicazioni contenute nella dichiarazione in dogana siano state verificate, oppure siano accettate senza verifica.
Di fatto, quindi la disciplina dei controlli, a livello comunitario, è improntata alla necessità di svincolare le merci in tempi ragionevoli, cosicchè la verifica delle dichiarazioni deve terminare quando la presenza delle merci non è più necessaria.
Ciò implica che tutte le verifiche che possono essere svolte a posteriori, non devono essere anticipati nella fase dei controlli “in linea”, ritardando lo svincolo delle merci.
Richiamando tale normativa comunitaria, la sentenza in esame sottolinea con decisione che le norme nazionali non assumono alcuna valenza in tema di tempistica dei controlli doganali, neppure di natura interpretativa.
 In particolare, anche il Decreto legislativo 169 del 2016 che non avrebbe trovato applicazione alla fattispecie, perché successivo ai fatti, viene ritenuto dalla decisione soltanto come indizio della volontà del legislatore nazionale di “lasciare il campo” o quantomeno allinearsi a quello comunitario.
Tale norma, infatti, che istituisce “lo sportello unico doganale”, all’art. 20 comma 3 prevede che i controlli della dogana devono concludersi in un’ora, se il controllo è documentale, in cinque ore se il controllo è fisico e nei termini stabiliti dall’Unione europea, qualora i controlli richiedano accertamenti di natura tecnica o prelevamento di campioni.
Secondo il Consiglio di Stato tale disposizione sarebbe unicamente una norma di passaggio, volta a abrogare di fatto gli stretti limiti temporali previsti dal decreto 145/2013, ritenuti così stringenti da non poter essere osservati, per desiderio di uniformare a livello sovranazionale la materia dei controlli.
I controlli in dogana, dunque, secondo la pronuncia in esame, devono essere disciplinati dalla normativa europea e dai protocolli di settore, ovvero dall’unico principio del “tempo ragionevole”, a garanzia della effettiva praticabilità della verifica.
Secondo la decisione in esame, la normativa attuale non prevede più un limite stringente per i controlli della dichiarazione in dogana, cosicchè soltanto il superamento  del periodo di controllo “ragionevole” potrebbe configurabile l’elemento soggettivo dell’illecito in capo all’Amministrazione, in termini di colpa (o dolo).
La pronuncia si uniforma a una precedente decisione del medesimo Consiglio di Stato (29 aprile 2020, n. 2751), che aveva parimenti disapplicato la normativa nazionale richiamata in termini di tempistica dei controlli, invocando un interesse pubblico sovranazionale.
In tema di spedizioni transfrontaliere di rifiuti, allora, il Consiglio aveva ritenuto legittimo un grave ritardo nello svincolo della merce, argomentando sul fatto che l’operazione   rischiava   di   compromettere   rilevanti   interessi   pubblici,   quali   la prevenzione e la repressione dei traffici illegali. in tema di esportazione di rifiuti; conseguentemente in virtù di tale rischio il Consiglio aveva sancito la non applicabilità del d.l. 145 del 2013 e del termine generale di conclusione dei procedimenti amministrativi di cui alla legge 241 del 1990, in quanto i controlli e le verifiche tecniche sulle importazioni e esportazioni dovevano essere disciplinate a livello euro unitario, secondo l’unico parametro della ragionevolezza.
Nel caso all’attenzione del Consiglio, dunque, il rischio di traffici illegali di rifiuti e di infiltrazioni ad opera di esponenti della criminalità organizzata aveva portano la dogana a collaborare con la DNAA e le autorità consolari, allungando i tempi di verifica. Le soste maturate dai cinque contenitori di polietilene destinati alla Cina e la perdita dei contratti di vendita della merce aveva causato nella fattispecie danni per oltre 200.000 euro; in prima battuta il Tar Calabria aveva riconosciuto la negligenza dell’Amministrazione e l’aveva condannata al risarcimento, tuttavia il Consiglio  di Stato ribaltava tale decisione, escludendo ogni profilo di colpa della Dogana, proprio sul presupposto sia della inesistenza di limiti temporali certi nell’attività di verifica, sia della necessità dell’Amministrazione di contrastare l’illegalità, esercitando poteri ulteriori rispetto a quelli nazionali in coordinamento con le diverse autorità preposte a livello europeo.
Il principio, dunque, della gerarchia delle fonti, secondo cui il diritto unionale va a integrare e sostituirsi alla legislazione nazionale quando entra in conflitto con essa, pare doversi interpretare nella materia dei controlli nel senso che qualora vi siano interessi superiori da salvaguardare, la normativa europea debba prevalere, portando ad una sostanziale interpretazione abrogatrice delle norme nazionali.
Nel caso di specie, dunque, il necessario coinvolgimento di autorità e uffici diversi aveva giustificato il ritardo nel rilascio dei contenitori, ritenuto pur sempre ragionevole. Sembra  corretto,  dunque,  dedurre  dalle  pronunce  esaminate  che  la  legislazione nazionale debba  trovare  applicazione soltanto nei casi di  controlli  ordinari,  mentre laddove le verifiche siano volte a escludere la commissione di reati, i tempi possano dilatarsi per periodi incerti, da valutarsi con il solo limite della “ragionevolezza”.
A contrario, quindi, potrebbe sostenersi che, ove le verifiche non debbano coinvolgere autorità o enti terzi, e non vi siano indizi di reato, la tempistica dei controlli dovrebbe essere massimamente contenuta nei limiti dettati dal legislatore italiano.
A tal riguardo tuttavia non si può che auspicare che la giurisprudenza comunitaria e nazionale de iure condendo delineino i parametri di misura dell’invocato principio di ragionevolezza, suggerendo ad esempio, un bilanciamento di interessi tra la necessità di garantire la correttezza delle entrate dello Stato e la conformità alle normative dei beni in ingresso nell’Unione e l’entità dei danni che l’attività di controllo inevitabilmente comporta, tenendo in considerazione una ragionevole proporzione con il valore dei beni in esame e la gravità del reato sospettato.
Ad oggi, infatti, appare assai difficile valutare ex ante se una azione di rivalsa nei confronti dell’Amministrazione “ritardataria” possa considerarsi legittima, perché di fatto la sola ipotesi del contrabbando (derivante da una qualsiasi difformità della classificazione, dell’origine, del valore e della quantità delle merci importate rispetto a quelle dichiarate che impatti sulla liquidazione dei diritti di confine) renderebbe sempre astrattamente legittimo il superamento dei termini nazionali di durata del controllo.
Vero è, infatti, che per stabilire se il pregiudizio economico, che comunque l’operatore subisce dalla verifica, costituisca anche un danno giuridico risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c., è necessario verificare non soltanto l'evento dannoso "ingiusto", il danno patrimoniale conseguente, e il nesso di causalità tra il fatto illecito e danno subito, ma, soprattutto, la "colpa" dell'apparato amministrativo, dovendosi individuare, anche in tema di responsabilità della pubblica amministrazione l’elemento soggettivo richiesto dall'art. 2043 c.c. Proprio tale ultimo elemento ha rappresentato, come abbiamo visto nelle due pronunce esaminate, la “via d’uscita” per esentare l’Amministrazione da ogni responsabilità patrimoniale verso l’operatore; venuto di fatto meno qualunque limite chiaro e predefinito all’attività investigativa e di accertamento della Dogana, massima diviene conseguentemente la discrezionalità dell’Organo giudicante.


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