Ship Recycling: Il Regolamento Europeo 1257/2013 diviene applicabile

11/10/2019

Ship Recycling: Il Regolamento Europeo 1257/2013 diviene applicabile

Rubrica a cura dello Studio Legale Siccardi Bregante & C. - www.siccardibregante.it - studio@siccardibregante.it

A partire dal 31 dicembre 2018 è divenuto applicabile il Regolamento Europeo 1257/2013 in materia di riciclaggio di navi (di seguito il “Regolamento”). Il Regolamento si applica alle navi di stazza lorda superiore alle 500 tonnellate che battono bandiera di uno Stato membro dell’Unione Europea.

Per riciclaggio di navi si intendono le attività di smantellamento a cui è sottoposta una nave, al fine di recuperare da questa il maggior numero di risorse possibili nell’ottica di una economia sostenibile. Si deve, infatti, considerare che generalmente le navi sono composte da quantità molto considerevoli di acciaio ed altri materiali, che possono essere recuperati e/o smaltiti così limitando l’impatto ambientale.
A questa finalità di recupero e riutilizzo di risorse si affianca l’ulteriore scopo di gestire in maniera attenta e responsabile tutte quelle sostanze tossiche che sono contenute a bordo e nelle strutture della nave e che possono nuocere all’ambiente e alla salute delle persone che lavorano presso, o vivono vicino ai, cantieri di demolizione navale. Quest’ultimo obiettivo viene realizzato solo se si utilizzano attrezzature appropriate e se vengono rispettate determinate procedure e precauzioni.
Nel caso contrario, gli effetti negativi sull’ambiente e sulla salute umana sono evidenti: da un lato, infatti, si può considerare il conseguente inquinamento del mare e dell’aria nei pressi della zona di demolizione, con gravissimi danni all’ecosistema circostante; dall’altro lato, invece, si possono osservare le gravi malattie (che colpiscono soprattutto la cute e l’apparato respiratorio) e gli incidenti (talvolta mortali) sul luogo di lavoro che possono interessare gli “addetti ai lavori”.
Tra i vari metodi di demolizione[2] che oggi vengono praticati, il cosiddetto beaching method è quello che senza dubbio comporta maggiori rischi per l’ambiente e per la salute umana: la nave viene condotta a tutta velocità verso la spiaggia e, una volta arenata sul bagnasciuga, viene smantellata praticamente senza alcun tipo di protezione dagli operai, i quali entrano direttamente in contatto con le sostanze tossiche contenute a bordo che peraltro vengono generalmente rilasciate liberamente nell’ambiente circostante.
Nella pratica, questo metodo di demolizione navale è stato di gran lunga il più utilizzato: nell’ultimo ventennio, più di due terzi delle navi riciclate sono state spiaggiate sulle coste di Bangladesh, India e Pakistan, paesi in cui notoriamente il metodo di riciclaggio di navi utilizzato è il cosiddetto beaching method.
La comunità internazionale ha tentato di fornire una soluzione al problema dapprima riconducendo il riciclaggio di navi all’interno del quadro normativo già esistente in materia di traffico internazionale di rifiuti. Si è infatti affermato esplicitamente che le navi in disarmo rientrano nel concetto di “rifiuto” tanto ai sensi della Convenzione di Basilea come ai sensi del Regolamento Europeo 1013/2006  che disciplinano la materia. Tale Convenzione  introduce un meccanismo di prior informed consent in base al quale lo Stato di bandiera deve ottenere il preventivo consenso scritto dello “Stato di esportazione” (in questo caso si tratta dello Stato dove avverranno le operazioni di demolizione navale ai fini del riciclaggio) prima di inviarvi la nave destinata ad essere riciclata. Invece, il Regolamento Europeo 1013/2006 va ancora oltre dal momento che vieta esplicitamente l’invio di rifiuti verso paesi che non fanno parte dell’OCSE, quali appunto Bangladesh, India e Pakistan.
A livello pratico, però, questo tentativo non ha portato a nessun risultato sostanziale, nel senso che il quadro normativo applicabile nel corso degli anni è stato aggirato o addirittura esplicitamente violato quasi in toto, peraltro molto spesso senza alcuna conseguenza per i responsabili.
Nel 2009 è stata quindi adottata la Hong Kong International Convention for the Safe and Environmentally Sound Recycling of Ships, la quale, almeno a livello astratto, avrebbe costituito un valido strumento per risolvere le problematiche connesse con le attività di riciclaggio di navi ma che, ad oggi, non è ancora entrata in vigore.
In queste circostanze, le Istituzioni Europee hanno elaborato il Regolamento Europeo 1257/2013 con la finalità di fornire una più rapida e concreta risposta, che non dipendesse dalla volontà dei principali Stati bandiera o dei principali recycling States[3]. Il Regolamento ricalca sostanzialmente il testo della Convenzione di Hong Kong, prevendo in alcuni casi requisiti ancora più rigidi.
Il Regolamento, seguendo il cradle-to-grave approach utilizzato nella Convenzione, non si limita a regolare espressamente le sole fasi di vera e propria demolizione navale, bensì vuole disciplinare l’intero ciclo di utilizzo della nave con la finalità di assicurarne una demolizione responsabile ed ecosostenibile, senza gravi rischi per l’ambiente e per la salute dei lavoratori. Infatti, tutte le navi di nuova costruzione devono essere dotate, prima dell’inizio del loro utilizzo, dell’Inventario dei materiali pericolosi previsto dall’articolo 5 e gli armatori proprietari delle navi ad oggi già esistenti hanno tempo fino al 31 dicembre 2020 per predisporre questo documento.
L’Inventario ricopre un ruolo senza dubbio fondamentale, poiché permette facilmente di individuare e quantificare i diversi tipi di materiali e di sostanze pericolose contenute a bordo e in questo modo ne facilita uno smaltimento responsabile.
Inoltre, il Regolamento (articolo 8), in maniera analoga a quanto previsto dalla Convenzione (regola 10) prevede quattro diversi tipi di controlli, i quali vengono svolti dalle competenti Autorità nazionali (Stato bandiera) e sono finalizzati ad assicurare il corretto mantenimento dell’Inventario a bordo della nave durante l’intero ciclo di utilizzo di questa. I “controlli di rinnovo”, infatti, devono essere svolti al massimo ogni cinque anni e la nave deve essere sottoposta al “controllo finale” prima di venire disarmata. È solo in caso di esito positivo di tale controllo che viene rilasciato il Certificato Internazionale di Idoneità al Riciclaggio, in assenza del quale le operazioni di demolizione e riciclaggio non possono iniziare.
Insieme all’Inventario, vi sono altri incombenti che ricoprono un ruolo importante nell’ottica di un riciclaggio di navi che non comporti rischi per l’ambiente e per la salute degli “addetti ai lavori”. Ogni impianto di riciclaggio, infatti, deve elaborare il proprio Piano dell’Impianto di Riciclaggio delle navi e, per ogni singola nave da demolire, il Piano di Riciclaggio della Nave, che viene predisposto tenendo in conto le informazioni appositamente fornite dall’armatore in base a quanto previsto dall’articolo 6, comma 1, lettera a).
La novità più grande a livello pratico, tuttavia, è nell’articolo 6, quello che impone agli armatori di navi battenti bandiera di uno Stato membro UE di riciclare le navi di loro proprietà esclusivamente presso cantieri di riciclaggio inclusi nell’Elenco Europeo. Questa lista di cantieri ufficialmente autorizzati è stata per la prima volta pubblicata nel dicembre 2016 ed aggiornata nel novembre 2018: ad oggi sono 26 i cantieri autorizzati, di cui 3 sono localizzati al di fuori del territorio comunitario ed in particolare uno negli USA e due in Turchia. Per il momento non è stato incluso nessun cantiere dell’Asia meridionale, sebbene alcuni cantieri indiani abbiano avanzato richiesta di inclusione alla Commissione europea nel recente passato. La Commissione europea sembra dunque non soddisfatta, almeno per il momento, dagli standard operativi utilizzati dai cantieri dell’Asia meridionale, i quali sono generalmente conosciuti per utilizzare il cosiddetto metodo dell’arenamento. Questo metodo di demolizione comporta, da un lato spese molto contenute per i cantieri di demolizione e quindi maggiori profitti per gli armatori, ma, dall’altro lato, si traduce in conseguenze negative per l’ambiente e per i lavoratori.
La decisione di inclusione dei due cantieri turchi è stata da alcuni criticata perché non garantirebbe l’effettiva tutela dell’ambiente, in quanto gli standard di riciclaggio generalmente utilizzati in Turchia non sono paragonabili con quelli applicati nei cantieri europei. Gli armatori europei, invece, hanno accolto con favore questa novità perché i cantieri turchi sono in grado di offrire prezzi di ship recycling più convenienti per gli armatori e quindi un ricavato maggiore per gli stessi in cambio della cessione della nave da riciclare. Infatti, i costi sostenuti da tali cantieri sono decisamente inferiori rispetto a quelli che i cantieri europei devono necessariamente sostenere per operare in conformità con la normativa europea ed anche, almeno in parte, in considerazione del diverso valore commerciale dell’acciaio sul mercato europeo.
In conclusione, si deve ritenere che il 2019 potrebbe essere un anno cruciale per il riciclaggio di navi, sia perché è il primo anno in cui è effettivamente applicabile la normativa introdotta dal Regolamento del 2013, sia perché la Commissione europea potrebbe decidere, dopo le opportune e sicuramente necessarie ispezioni e verifiche, di includere nell’Elenco europeo anche alcuni dei cantieri di Bangladesh, India e Pakistan. E mentre da un lato gli armatori europei così come i cantieri di questi tre paesi asiatici spingono in questa direzione, i cantieri europei e gli ambientalisti spingono nella direzione opposta, invocando un’effettiva tutela dell’ambiente. Infine, sarà molto interessante sul piano pratico osservare se le autorità giudiziarie degli Stati membri adotteranno un atteggiamento di pugno duro nei confronti degli armatori che adotteranno comportamenti difformi da quanto previsto dal Regolamento, in continuità con una recente sentenza della autorità giudiziaria olandese.


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