Valore in dogana: per la Corte di giustizia sono irrilevanti gli accordi sul transfer pricing

08/03/2018

Valore in dogana: per la Corte di giustizia sono irrilevanti gli accordi sul transfer pricing

Rubrica a cura dello Studio Legale Armella & Associati, Genova - Milano - www.studioarmella.com

La Corte di giustizia, con la sentenza 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu, ha affermato che gli accordi relativi al transfer pricing, anche se condivisi con l’Amministrazione fiscale, non hanno alcun rilievo ai fini della determinazione del valore, nei rapporti con la Dogana.
Nel caso esaminato, una società tedesca ha acquistato alcuni prodotti dalla controllante giapponese, dichiarando, all’atto dell’importazione, il prezzo infragruppo fatturato dalla casa madre, conformemente a un accordo preventivo sui prezzi di trasferimento, stipulato tra il gruppo e le autorità fiscali tedesche.
Tutti gli importi fatturati alla controllata erano periodicamente verificati e, se del caso, corretti, per garantire che i prezzi di vendita applicati fossero conformi al criterio di piena concorrenza previsto dalle linee guida Ocse.
Poiché, dopo l’importazione, il margine operativo della società si è rivelato al di sotto della fascia obiettivo stabilita, la casa madre ha riconosciuto un credito alla controllata tedesca.
A seguito dell’adeguamento dei prezzi di trasferimento, la società ha richiesto il rimborso dei dazi doganali versati in eccesso alla Dogana di Monaco, la quale, tuttavia ha respinto l’istanza.
Secondo l’Amministrazione doganale tedesca, infatti, il metodo di determinazione del prezzo applicato dal gruppo non avrebbe dovuto ritenersi conforme all’art. 29 del codice doganale comunitario[1], poiché tale norma fa riferimento al valore di transazione di merci “specifiche”, e non sarebbe dunque applicabile a spedizioni miste.
Nel dirimere la controversia, la Corte di giustizia ha chiarito che “gli articoli da 28 a 31 del codice doganale devono essere interpretati nel senso che non consentono di prendere in considerazione, come valore in dogana, un valore di transazione concordato costituito, in parte, da un importo inizialmente fatturato e dichiarato e, in parte, da un adeguamento forfettario operato dopo la fine del periodo di fatturazione, senza che sia possibile sapere se, al termine del periodo di fatturazione, tale adeguamento sarà operato al rialzo o al ribasso”.
La sentenza merita attenzione poiché, in primo luogo, limita l’applicazione della richiesta di rimborso dei maggiori dazi versati alla sola ipotesi di errori od omissioni involontariamente commessi dall’interessato allo sdoganamento e, di conseguenza, la esclude in tutti quei casi in cui, successivamente all’importazione, l’accordo tra fornitore e acquirente determini un adeguamento in diminuzione del prezzo dichiarato.
Se tale aspetto, in linea generale, appare piuttosto noto e condiviso, deve rilevarsi che nella prassi dei gruppi multinazionali è assai diffuso il convincimento per cui, raggiunto l’accordo sui prezzi di trasferimento con l’amministrazione fiscale locale, quest’ultimo dovrebbe tutelare la società anche con riferimento alla fiscalità doganale.
La sentenza in commento smentisce tale opinione, imponendo una maggiore attenzione per questo profilo.
In Italia, tale problematica può essere preventivamente risolta attivando la procedura di ruling doganale (Ag. dogane, circ. 21 aprile 2017, n. 5/D) che, alla luce dei principi espressi dalla Corte di giustizia, risulta ora imprescindibile per far valere eventuali diminuzioni del prezzo, conseguenti ad aggiustamenti successivi alle importazioni.
Un ulteriore tema affrontato dalla sentenza concerne le rettifiche operabili d’ufficio. La Corte di giustizia, infatti, afferma che “il codice doganale, da un lato, non impone alcun obbligo alle imprese importatrici di sollecitare adeguamenti del valore di transazione, laddove quest’ultimo sia corretto ex post al rialzo e, dall’altro, non contiene alcuna disposizione che consenta all’autorità doganale di tutelarsi dal rischio che le citate imprese richiedano unicamente adeguamenti al ribasso”.
Dalla sentenza si evince chiaramente che eventuali aggiustamenti in aumento al valore doganale, effettuati dopo l’importazione, non dovrebbero legittimare una rettifica della Dogana.
Ciò rappresenta una grande novità poiché, finora, le autorità doganali hanno sempre operato con rettifiche in aumento.
Merita di essere precisato, infine, che il giudice europeo, nell’esaminare il caso concreto, ha dato applicazione al previgente codice doganale comunitario.
Il nuovo codice, tuttavia, all’art. 173, par. 3, cdu[2], non limita più la revisione su istanza di parte alla presenza di errori od omissioni, a differenza della normativa precedente (art. 78 cdc), consentendo di attivare la procedura di revisione ove sia necessario far coincidere la procedura doganale con la situazione reale.

Sara Armella
Studio Legale Armella & Associati



[1] Reg. UE 2913/1992.
[2] Reg. UE 952/2013.


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